martedì 24 gennaio 2012

Città ideali e architetture selvagge nell'arte

Leonardo da Vinci, città su due livelli
La città ideale è sempre stato il mito della pittura rinascimentale, in particolare per gli architetti, ma anche i pittori si sono rivelati non indifferenti alla costruzione teorica, in forma di dipinto prospettico di una città "ideale".
Quello che non è stato messo in conto, alla fine del Rinascimento, è stata la destrutturazione fantastica del mito della città ideale, dal Barocco in poi, trasformandola in un coacervo di architetture, talvolta "ideali", più spesso architetture reali completamente decontestualizzate come quelle dei capricci romani di Panini o di Piranesi.

Ma torniamo alla nostra città ideale. Tra tutti coloro che progettarono città ideali forse soltanto Bernardo Rossellino riuscì a creare un microcosmo, un abbozzo di città ideale per conto di papa Pio II. Per questo motivo prese il nome di Pienza.
Il papa, al secolo Enea Silvio Piccolomini, già era conosciuto come grande umanista e aveva commentato lui stesso il "Libro della Poetica" di Aristotele. Da questo probabilmente prese spunto per un grande palcoscenico che è la piazza della sua città.
Bernardo Rossellino, piazza centrale di Pienza

Ancora su carta invece la città su due livelli di Leonardo, che aggiunge lo spunto ingegneristico geniale dei due livelli. In questo disegno non è difficile immaginare il portico del piano inferiore come una scenografia di un antico teatro greco-romano. Questo prevedeva anche un palco superiore, quindi era su due livelli come nel disegno leonardesco, come si vede da questa immagine della scenografia miracolosamente integra, o quasi, del teatro romano di Merida.


Teatro Romano, Merida, Spagna
Questo fu il Rinascimento, il quale arrivò al suo massimo nella tela di area pierfrancescana di Boston. Durante il Barocco questa costruzione prese, in pittura una piega diversa. Dopo gli oscuri sfondi caravaggeschi, la pittura vedutista aprì delle nuove strade. Iniziando dalla realtà, riprodussero pedissequamente le vedute ora di Venezia, ora di Roma, altre volte, come nel caso del Bellotto, vedute di Dresda.

Il Rinascimento lasciò dei palcoscenici inarrivabili, il Barocco cominciò a distruggere l'ideale della città. Dai porti fantastici di Poussin, fino alle città surreali di Monsù Desiderio. Senza contare che fin dal '400 i fiamminghi avevano già maltrattato la visione della città, asservendola alla descrizione di proverbi o giochi dei bambini, e la vitruviana "Torre di Babele", tutti e tre di Bruegel il vecchio.


Pieter Bruegel, La Torre di Babele
Ciò non toglie che le vedute reali, altre ideali come quelle di Gerusalemme, per i nostri pittori generalmente sconosciuta, avrebbero continuato ad esistere da Carpaccio, con le sue vedute di una Venezia ideale, come quelle dei teleri di "Sant'Orsola", a quella reale di Piazza San Marco sullo sfondo del Leone di San Marco.

Il Barocco prese le città e le costruì come delle vere e proprie realtà urbanistiche irreali, adattate ai motivi che erano rappresentati.

Questo raggiunse i suoi vertici con le architetture impossibili di Monsù Desiderio, ma già il Visentini creò inesistenti capricci architettonici ispirati a luoghi della fantasia.
Fra coloro che usarono questo metodo iconografico, il Panini, Marco Ricci, lo stesso Canaletto, anche se tutti e tre sono molto più famosi come pittori di vedute reali.
Antonio Visentini, Capriccio architettonico

Ma adesso tiriamo fuori l'asso dalla manica, il fantasma che aleggia dall'inizio: Monsù Desiderio. Monsù è la traduzione approssimativa del Monsieur francese, infatti il Desiderio era di origine francese la sua opera è stata variamente attribuita tra i due francesi François de Nomé e Didier Barra, pittori di Metz, ma d'impronta italiana, a cui aggiungono un certo sentire nordico che illumina la scena di un chiarore che ricorda la Metafisica, oltre che il Surrealismo, com'è stato considerato in un saggio recente: un anticipatore del movimento artistico di André Breton.

Monsù Desiderio, Capriccio architettonico
Dal palcoscenico umanistico del disegno di Leonardo, questo capriccio sembra quasi un palco di una Sacra Rappresentazione con le edicole messe affiancate come nella tradizione del teatro dei Misteri medievale, come si può notare confrontandola con il palcoscenico della più famosa sacra rappresentazione del medioevo: "La Passione di Valenciennes". Le edicole affiancate ricordano molto, al di là dello stile, il capriccio di Monsù Desiderio.

Le edicole del quadro del francese si dividono in stile gotico e altre in stile romaneggiante. L'anfiteatro sullo sfondo, una citazione del Colosseo,  non può non ricordare i capricci del Panini, anche se la distorsione architettonica in questa tela di Monsù Desiderio crea una strada o piazza o una serie di monumenti affiancati lontani dalla pittura del suo tempo, superando gli stessi modelli dei capricci italiani.
Palcoscenico della Passione di Valenciennes (XIII sec.)

Ma un paesaggio fantastico legato ancora ai modi rinascimentali si ritrova, e questo ci stupisce, nelle tele di quel grande vedutista, o ruinista, o pittore di capricci con piccole figure, come dir si voglia, che si chiama Viviano Codazzi.

Questo capriccio architettonico è di una teatralità che difficilmente si ritrova in un altro pittore della sua generazione. Il punto di fuga inquadrato al centro della "Ianua magna", cioè l'arco centrale, ci riporta addirittura al palcoscenico di Francesco del Cossa negli affreschi di Palazzo Schifanoia a Ferrara.

Viviano Codazzi, Capriccio architettonico
Chi non nota in questa tela la riproduzione della scenografia del teatro romano di Merida?
Eppure la ricerca che esisteva nel periodo rinascimentale in un avvicinamento, quasi sacralizzato, ai modelli dell'antichità, come nelle tre tele prospettiche famose attribuite all'area di Piero della Francesca.

Non conosciamo una particolare vicinanza tra il Codazzi e i rinascimentali, era figlio spurio della Scuola dei Bamboccianti, anche se il suo vero maestro fu Micco Spadaro.

Le tele di Codazzi sembrano quasi una versione in forma architettonica e scenografica dei capricci di Salvator Rosa. Anche se sembrano paesaggi naturali, nelle sue tele il Rosa piega la natura, quasi costruisce i suoi paesaggi ad un suo ideale architettonico.
Francesco di Giorgio Martini (?) Città ideale


Un altro esempio tra la corrispondenza dei quadri prospettici rinascimentali della città ideale e i quadri del Codazzi sono visibili in questi due esempi.
Il primo il di questi è la cosiddetta città ideale del Museo di Berlino, attribuita, con molti dubbi a Francesco di Giorgio Martini.

Ma guardiamo anche questa tela,  attribuita a Viviano Codazzi ci sorprende, di nuovo una citazione del teatro umanistico, un'altra coincidenza?
Viviano Codazzi, Capriccio Architettonico

Ma se alcuni pittori si rifanno anche a vecchi modelli, magari con un retroterra più nobile, l'esempio di Monsù Desiderio si fa sentire forte, anche se legato ad una sensibilità propria, originale e irripetibile, ci sono alcuni pittori che riescono a creare ambienti sul suo stile, come il grande Alessandro Magnasco che italianizza i complessi scenografici di Monsù Desiderio.


Alessandro Magnasco, Baccanale

Su Magnasco il discorso sarebbe lungo, anche se molto interessante. Ma anche uno dei nostri più strani attori della pittura non raggiunge nemmeno lontanamente il delirio di Monsù Desiderio, pari forse a quello quattrocentesco di Hieronimus Bosch o a quello dei quadri di Max Ernst.
Anche se i paesaggi architettonici di Magnasco seguono la moda del ruinismo, l'opposto degli integri palcoscenici-città ideali di Monsù Desiderio.

Dar razionalismo prospettico dei rinascimentali alle architetture selvagge del barocco e il rococò, passando attraverso le visioni teatrali di Codazzi, la pittura italiana ha destrutturato l'ideale della "città ideale".

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