martedì 27 settembre 2011

Giorgione, I tre filosofi. Una lettura dantesca

I Tre Filosofi, Kunsthistorische Museum, Vienna

"Poi ch'innalzai un poco più le ciglia,
vidi 'l maestro di color che sanno
seder tra filosofica famiglia.
Tutti lo miran, tutti onor li fanno:
quivi vid' ïo Socrate e Platone,
che 'nnanzi a li altri più presso li stanno;
Democrito che 'l mondo a caso pone,
Dïogenès, Anassagora e Tale,
Empedoclès, Eraclito e Zenone;
e vidi il buono accoglitor del quale,
Dïascoride dico; e vidi Orfeo,
Tulïo e Lino e Seneca morale;
Euclide geomètra e Tolomeo,
Ipocràte, Avicenna e Galïeno,
Averoìs, che 'l gran comento feo"
(Dante, Inferno, IV, 130-144)


Giorgione avrà conosciuto questo passo dell'Inferno dantesco al momento della sua stesura del soggetto, ancora d'incerta interpretazione, del suo quadro chiamato "I tre filosofi"? Non possiamo conoscere la risposta ma forse il committente o l'eventuale umanista che ha ispirato questo soggetto aveva sicuramente un'idea precisa dei personaggi rappresentati.

Sin dalla prima citazione dell'esistenza di questo quadro, nel 1525 dello storico veneziano Marcantonio Michiel nobile studioso della celebre famiglia veneziana, nonché collezionista, questa opera viene descritta come:
«tela a oglio delli tre phylosophi nel paese, dui ritti et uno sentado che contempla gli raggi solari cun quel saxo finto cusì mirabilmente, fu cominciata da Zorzo da Castelfranco et finita da Sebastiano
Vinitiano». ("Notizia d'opere del disegno" di Marcantonio Michiel).

A venti anni dalla sua composizione, che viene datata fra il 1505 e il 1509. Il titolo di questa tela era diventato "I tre filosofi". Questo non dimostra che inizialmente la tela avesse questo titolo. Però il Michiel che era nato nel 1484, quindi era ventunenne al tempo della composizione del quadro, è difficile che si sia inventato il titolo.

Quasi sicuramente il Michiel vide la tela nella sua sede primigenia, quindi a casa Contarini. Era infatti stata commissionata nel 1505 da Taddeo Contarini. Sappiamo che Marcantonio Michiel aveva visitato la casa di Michele Contarini dove aveva descritto la sua collezione di cammei antichi.
Tutte le interpretazioni moderne di questo dipinto, a suo modo misterioso, come l'altro capolavoro della stesso Giorgione "La tempesta", sembrano essere, ciascuna a suo modo plausibili.

Una delle tante li vede come i tre Magi in procinto di partire per raggiungere la grotta di Betlemme, altri ne fanno un'interpretazione alchemica, partendo dal dato che Taddeo Contarini pare fosse interessato all'alchimia.

Personalmente protendiamo per quella del Ferriguto (1953) che parla delle tre fasi del pensiero aristotelico.
Se accettiamo questa identificazione il titolo "I tre filosofi" sembra il più ovvio.
Un'altra interpretazione interessante è quella che vede nei tre personaggi l'allegoria delle tre religioni abramitiche: l'Ebraismo, rappresentato dal vecchio, l'Islamismo, rappresentato dalla figura centrale vestito alla maniera araba, e il Cristianesimo dal giovane seduto di profilo con squadra e compasso in mano. Ovviamente non può sfuggire, anche ad un occhio meno attento, l'ulteriore significato allegorico delle tre età dell'uomo: la giovinezza, la maturità e la vecchiaia.
Giorgione (Tiziano?) Le tre età dell'uomo
- Le tre età dell'uomo -

Questo ultimo soggetto era già stato usato dal Giorgione in un quadro intitolato appunto "Le tre età dell'uomo". Ma proprio questo ultimo quadro ci dà un suggerimento importante cioè che i personaggi raffigurati non fossero completamente avulsi dalla realtà, quindi un'allegoria che usava i ritratti, veri o presunti, di persone realmente esistite. La figura del vecchio, nella tela delle "Tre età dell'uomo, è stato interpretato come il ritratto di Adrian Willaert (1490-1562), contrappuntista fiammingo chiamato a dirigere il coro della cappella di San Marco a Venezia. Ma al tempo del Giorgione, morto di peste nel 1510, Willaert non era neanche a Venezia e non poteva essere certo rappresentato come un vecchio, infatti il suo primo viaggio in Italia lo portò a Roma nel 1515 e al tempo della morte di Giorgione aveva soltanto vent'anni. Gli storici hanno quindi avanzato un'ulteriore ipotesi, più verosimile: cioè che si trattasse invece del ritratto di Jacob Obrecht, sempre della scuola musicale fiamminga, morto a Ferrara nel 1505. In compenso, nello stesso quadro il giovane a destra viene indicato come il ritratto di Philippe Verdelot (1470-1552), musicista francese considerato il padre del madrigale. Mentre sul fanciullo al centro con in mano uno spartito, per quel che sappiamo non è stata avanzata nessuna ipotesi. L'intera opera di Giorgione sfugge all'interpretazione certa dei personaggi ritratti ma la ricerca di possibili corrispondenze con uomini del suo tempo è sempre stata una delle costanti della ricerca iconologica sui suoi (e non soltanto suoi) lavori.
Raffaello, La Scuola d'Atene, Averroè (part.)

- Chi sono i tre filosofi? -

La nostra ipotesi, che più avanti cercheremo di dimostrare, è che i tre filosofi del quadro di Giorgione sono: partendo da destra verso sinistra, Tolomeo, Averroè ed Euclide.

Ma andiamo avanti passo per passo. Nel canto IV dell'"Inferno" dantesco il poeta fiorentino arriva nel Limbo dei sapienti nati prima dell'avvento di Cristo, dove incontra le ombre dei più importanti personaggi della cultura precristiana, che attendono la venuta della resurrezione dei morti e il Giudizio finale per accedere alla vista di un Dio che non hanno conosciuto, per motivi cronologici, durante la loro vita mortale. Qui, dove risiede anche l'ombra di Virgilio, Dante incontra le migliori menti del passato. A nostro avviso è da questa fonte che il Contarini trae spunto per la composizione del quadro di Giorgione. Alla fine della lista di coloro che <<sanno seder tra la filosofica famiglia>>, il poeta pone i seguenti filosofi: 
<<Euclide geomètra e Tolomeo,
Ipocràte, Avicenna e Galïeno, 
Averoìs, che 'l gran comento feo>>

Privilegiando Giorgione nella sua rappresentazione gli astronomi e i matematici piuttosto che i grandi della scienza medica, come vedremo più avanti.  
*Il filosofo arabo

Giovanni da Modena, Maometto (XV sec.)
Il personaggio centrale non è certo il più facile da identificare, è evidentemente un mediorientale. Sia le fattezze del viso che l'abbigliamento sono orientaleggianti. Non si può non raffrontarlo, con altri personaggi vestiti alla maniera araba di molte altre tele giorgionesche come ad esempio "Il giudizio di Salomone" o "L'adorazione dei Magi". Nella Venezia del tempo molti pittori raffiguravano mercanti turchi o mediorientali, si pensi soltanto agli arabi dei teleri di Carpaccio, anche questi abbigliati allo stesso modo che nel Giorgione. Ma l'arabo della tela di Giorgione non è un mercante qualsiasi, è un filosofo, quindi il campo della ricerca si restringe. Pensiamo ovviamente ai due grandi filosofi arabi ben conosciuti fin dai tempi di Dante: Avicenna e Averroè. Ma gli studiosi (antichi e moderni) hanno allargato la probabile rosa dei nomi con Albatenius (Al-Battani), o con lo stesso Maometto per quelli che interpretano il quadro come l'allegoria delle tre religioni monoteiste.
Sarebbe forse la prima volta che il profeta dell'Islam non viene raffigurato in occidente come un dannato nelle rappresentazioni dell'inferno, ma come un filosofo parigrado a quelli greci e cristiani, quindi a nostro avviso un'identificazione da scartare, soprattutto per un quadro del primo '500. Senza contare che la prima traduzione del "Corano" in lingua italiana e la sua diffusione fra le corti rinascimentali è della metà del XVI secolo stampata a Venezia nel 1547.

La supposizione che i tre filosofi rappresentino i tre stadi della filosofia aristotelica: L'Antico aristotelismo, l'averroismo medievale e la Scienza nuova, è decisamente quella più affascinante e, per noi, la più verosimile. Questa interpretazione si fonderebbe benissimo con l'allegoria delle tre età dell'uomo trasposta come tre età della filosofia. e i filosofi suggeriti da queste fonti sono: Tolomeo, Al-Battani e Copernico quindi tre filosofi della scienza o meglio ancora tre astronomi e matematici
.
L'identificazione di Al-Battani deriva dai suoi studi astronomici, in particolare il "De motu stellarum" tradotto da Platone da Tivoli nel 1116 in latino.

Sappiamo che Taddeo Contarini, che commissionò il quadro al Giorgione, era assiduo frequentatore della biblioteca veneziana del Cardinal Bessarione, che conteneva centinaia di codici greci (salvati dall'assedio dei turchi di Costantinopoli) e latini. E' molto probabile che fra questi ci fosse anche la traduzione latina di Al-Battani, vista l'influenza che ebbe sugli studi astronomici posteriori, ma non ne abbiamo la certezza, e non esiste nessuna fonte ad oggi verificabile. Di certo la biblioteca conteneva le traduzioni aristoteliche di Averroè, che lo stesso cardinale cita nel suo "In calumniatores Platoni" del 1480. A nostro avviso il "filosofo arabo" di Giorgione va ricercato fra i giganti della filosofia araba. Per coloro che vedono nel quadro del Giorgione un'allegoria alchemica forse Avicenna è il personaggio arabo più rappresentativo con il suo "Canone" medico. Invece per quelli che ci vedono un'allegoria del pensiero aristotelico Averroè è il più gettonato perché la sua influenza in occidente fu più corposa e diffusa, lo stesso Dante dice di lui che <<'l gran comento [di Aristotele] feo>> (Inf. IV)
Benozzo Gozzoli, Disputa tra San Tommaso e Averroè

Anche la sua figura appare spesso nell'iconografia italiana dal '300 in poi soprattutto nell'iconografia della disputa fra la sua filosofia e quella di San Tommaso d'Aquino. Lo ritroviamo infatti nel bellissimo affresco del Cappellone degli Spagnoli nel chiostro della chiesa di Santa Maria Novella dipinto da Andrea da Firenze del 1365, in una tavola quattrocentesca di Giovanni di Paolo, ma soprattutto in quella di Benozzo Gozzoli (oggi al Louvre), dove appare assieme a San Tommaso d'Aquino, Aristotele e Platone. Forse la sua presenza più importante è quella nel grande affresco di Raffaello "La scuola di Atene" dov'è l'unico arabo presente nella grande accademia fra tutti i filosofi greco-romani, in una postura quasi in adorazione di Aristotele e Platone che dominano la scena. Il fatto che Averroè sia stato assunto nell'Accademia dei filosofi, e nessun altro arabo, rafforza l'identificazione del filosofo giorgionesco con Averroè.
In tutti e quattro i quadri è caratterizzato dal turbante così come in quello di Giorgione. 

Un'identificazione alternativa a quella di Averroè potrebbe essere, ma non abbiamo nessuna fonte a supporto di questa tesi, che il filosofo "arabo" di Giorgione non fosse un filosofo arabo ma un averroista cristiano, il dottore della chiesa Alberto Magno. Questa identificazione, poco probabile ma non del tutto da escludere, è tratta dall'aneddoto che lo vuole talmente innamorato della filosofia araba da presentarsi vestito da arabo, questo durante una lezione sul pensiero di Avicenna e Al-Gahzali all'Università della Sorbona. Siamo comunque nel campo delle ipotesi non verificabili, ma ci piace pensare che il Bessarione conoscesse questa propensione del commentatore aristotelico medievale, poi santo, duecentesco.

I tre filosofi, Tolomeo, (part.)

*Tolomeo

Sul secondo filosofo, quello che compare a destra, con la lunga barba bianca e vestito da monaco, forse l'allegoria della vecchiaia, con un libro di appunti astronomici, non è difficile optare per il ritratto, ideale, di Claudio Tolomeo. Se volessimo seguire la teoria di coloro che ci vedono i tre Magi troveremmo difficile attribuire questo libro ai Magi che portavano altri doni, anche se loro sono considerati celebri astrologi ma non certo come astronomi.
Le pagine che il filosofo trae dalla tasca possono riferirsi forse alla sua opera più nota: "L'Almagesto", anche se d'incerta identificazione. Di sicuro l'opera di Tolomeo fu tradotta in latino dal Regiomontano proprio sulla spinta del cardinal Bessarione, che l'ospitò anche nella sua casa intorno al 1460. Come abbiamo più volte ripetuto la vicinanza, la frequenza e la familiarità tra Taddeo Contarini e il cardinale greco potrebbero aver costituito la base della rappresentazione del quadro di Giorgione.

Chi vede nell'opera invece la rappresentazione delle tre religioni, fa notare che in un'indagine sul quadro, fatta 
Raffaello, Tolomeo (di schiena)
di recente  con gli infrarossi si sono notate, fra i ripensamenti del Giorgione, una corona di raggi che in origine circondava la testa di questo filosofo. Per questo motivo si è parlato di un possibile Mosè.

Pur ammettendo possibile questa identificazione, che non stonerebbe con la presenza di un Maometto nella figura centrale, bisognerebbe capire perché le tavole della legge siano state sostituite con un trattato di astronomia. Anche questa identificazione è, a nostro avviso, da scartare. La scoperta dei "raggi" rafforza l'identificazione con Claudio Tolomeo perché nel '500 era spesso rappresentato con in testa una corona, simbolo regale, perché ancora lo si credeva discendente della dinastia egizia dei Tolomei. Appunto con una corona e un globo terreste in mano si può vedere nella "Scuola di Atene" di Raffaello negli Appartamenti Vaticani.


I tre filosofi, Euclide (part.)

*Il filosofo giovane

Sul filosofo giovane invece i dubbi sono molti e nessuno, per quanto ne sappiamo, ha mai ipotizzato potesse trattarsi di Euclide. Ovviamente ha tutti gli attributi euclidei: la squadra, il compasso e il foglio su cui disegnare le sue costruzioni geometriche. Forse fino ad oggi nessuno aveva preso in considerazione la citazione dantesca del IV canto. Dante lo definisce proprio <<Euclide geometra>>. In passato avevamo pensato ad un'altra identificazione cioè che fosse il ritratto di un giovane Platone, questo a causa della grotta verso la quale il filosofo giovane pare fissare il proprio sguardo, ma il possesso di squadra e compasso non erano certo gli attributi di Platone.

Le altre ipotesi hanno delle incongreunze facilmente verificabili. Prendiamo infatti quella più vicina alla realtà cioè che insieme a Tolomeo e Al-Battani (o Averroè) ci fosse Copernico. Il personaggio del monaco polacco potrebbe essere verosimile dato che studiò prevalentemente in Italia e rivoluzionò l'idea astronomica corrente ribaltando quella geocentrica di Tolomeo. Effettivamente anche il Michiel, descrivendo questo personaggio del quadro dice
<<che contempla gli raggi solari>>.
Questa sarebbe una pezza d'appoggio non indifferente per un'identificazione con Copernico ma, dobbiamo fare i conti con la cronologia. Si sa che la stesura del suo "De revolutionibus orbium coelestium" viene datata tra il 1507 e il 1512, ma fu per la prima volta pubblicato a Norimberga soltanto nel 1543. Giorgione era già morto nel 1510 e il quadro viene fatto risalire fra il 1505 e il 1509. Come può Copernico
Raffaello, Euclide
comparire in un quadro insieme a matematici e astronomi così importanti prima ancora della diffusione delle sue teorie?

Nella "Scuola di Atene", di cui abbiamo già parlato per la figura di Averroè, affresco del 1509, Euclide compare, già vecchio, mentre sta disegnando su di una lavagna con un compasso, alle sue spalle con un globo celeste in mano c'è proprio Tolomeo. Un'ultima annotazione il trattato euclideo "Gli Elementi" era stato stampato proprio a Venezia nel 1482, quindi al tempo della realizzazione del dipinto giorgionesco era già conosciuto e la sua opera maggiore appena tradotta e stampata.

(Franco Morettini e Costantino della Malghera