Caffè triestino (copertina del romanzo di Cergoly) |
"Trieste potrebbe essere una poesia, ma non lo è.
Trieste potrebbe essere un racconto, una lettera, soltanto un pensiero, ma non è niente di tutto questo.
Trieste è soltanto un luogo del sogno della mia mente malata.
Trieste mi vive dentro come un piccolo mostro e talvolta esplode.
Trieste è il luogo dove il mio pensiero nomade e randagio si rifugia."
(F. Morettini)
Trieste ai primi del Novecento era una città europea, forse la prima, in quella che dopo il 1918, diventerà l'Italia.
Trieste e il litorale austriaco, come ci spiega Claudio Magris nel suo libro omonimo dedicato alla città giuliana, è un luogo magico, dove l'arte e la letteratura, la pittura e la poesia si confondono con i vicoli che scendono da San Giusto al mare.
Trieste non è soltanto Svevo e Saba, non è soltanto Joyce e Slataper. Trieste è anche la città dove la pittura si fa europea.
Autoritratto, 1909 |
Un giorno mi comprai "Fermo là in poltrona", un romanzo minore del triestino Carolus L. Cergoly, e fui fulminato dall'immagine della copertina. C'era un quadro, per me evocativo, della Trieste che conosco a naso.
Il pittore per me era uno sconosciuto, un triestino nato alla fine dell'800 di nome: Piero Marussig.
Pur essendo uscito velocemente dall'Austria-Ungheria, e il suo litorale adriatico, Marussig portò sempre Trieste nel cuore e ne fece il soggetto dei suoi quadri più sognanti, là dove Trieste diventa un luogo della memoria.
Marussig ebbe il privilegio di visitare gran parte dell'Europa, visitò Vienna, Monaco e Parigi. Nella prima venne in contatto con il gruppo della cosiddetta "Sezession", dove assorbì gli stili più all'avanguardia dei pittori austriaci: Gustav Klimt, Egon Schiele e Oskar Kokoschka solo per citare i più famosi.
Egon Schiele, Ritratto di modella |
Come si sa Schiele, per la sua pittura entrò in carcere come pornografo e uscì per i buoni uffici del più celebre, e ricco, Gustav Klimt, che gli pagò la cauzione.
Marussig, per quanto ne so, non ebbe nessun problema in merito alla sua pittura che, in certi soggetti si avvicinava molto a Schiele.
Nel periodo bavarese ebbe modo di confrontarsi con pittori del calibro di Franz von Stuck e Max Liebermann. Da questa esperienza derivano molti suoi quadri, soprattutto l' "Autoritratto" del 1909 e altre opere tutte ispirategli dallo Jugendstil ormai imperante nell'arte tedesca.
Ma soprattutto a Parigi ebbe modo di confrontarsi con la grande pittura, dagli Impressionisti ai Divisionisti, da Utrillo a Van Gogh , da Gaugin a Cézanne, non tralasciando altre grosse influenze come quella di Matisse.
Piero Marussig, Donna che dorme, 1917 |
Qualunque confronto o paragone è quantomeno azzardato fra i giganti del post impressionismo e un pittore, come Piero Marussig, che veniva comunque dalla periferia artistica italiana che, a parte l'exploit dei Macchiaioli nel secolo precedente, non aveva prodotto ancora una pittura originale e veramente dirompente, e non la produrrà almeno fino al futurismo.
Come già detto Marussig non aderì al futurismo, anche se fu vicino al primo Boccioni, quello precedente al futurismo.
Umberto Boccioni, Ritratto del dott. Till, 1907 |
Anche se Boccioni, in questo ritratto sembra ancora troppo accademico, pur nella sua ricerca del nuovo, al confronto, l'autoritratto di Marussig, pur se dipinto nello stesso periodo, appare ancora più legato all'arte italiana tardo ottocentesca quasi un De Nittis o un Medardo Rosso.
Ma Marussig riesce a rimanere saldo nel realismo quanto disposto a piegarlo al suo modulo pittorico che talvolta è forse più sperimentale dei suoi contemporanei futuristi o quantomeno il più aperto alle influenze straniere.
Il suo "Ritratto della moglie" del 1915 sente ancora forte l'influenza di Gaugin, anche se una certa vicinanza al subentrante Espressionismo non è remota.
Ritratto della moglie, 1915 |
Piero Marussig torna in Italia per partecipare alla Prima guerra mondiale, alla fine della guerra entra nel circolo dei pittori frequentatori del salotto di Margherita Sarfatti.
Entra quindi in contatto con il meglio della pittura moderna italiana. Incontra Carrà, Funi, Sironi e molti altri.
Dopo il 1922 Mussolini sale al potere e gli artisti del circolo della Sarfatti, che era l'amante di Mussolini, improvvisamente salgono agli onori della grande arte. Marussig diventa uno dei fondatori del movimento artistico denominatosi: "Novecento".
Ma prima della pittura del regime, vanno visti almeno i suoi paesaggi come quelli del "Caffè triestino", che costituiscono una grande fetta della sua opera.
Anche se la conoscenza dell'opera di Van Gogh è potente, a mio avviso, i paesaggi di Marussig, come buona parte della sua prima opera è figlia della sua frequentazione dei maestri viennesi, ma anche l'influenza di Matisse in questo caso diventa preponderante.
Alla fine del suo periodo "sperimentale", Marussig entra in punta di piedi nella famiglia degli Espressionisti, anche se nessuno se ne accorge, né se ne accorgerà in futuro.
Piero Marussig, Donna con l'ombrello |
Questo quadro "Donna con l'ombrello" dimostra ampiamente la vicinanza tra Marussig, prima epoca, Franz Marc e altri espressionisti tedeschi in particolare August Macke.
Dopo questo periodo d'oro, con l'affermazione del fascismo, l'arte in Italia si appiattisce su una nuova arte di regime, vicina al classicismo, una falsa arte romaneggiante imperiale.
Marussig si adegua ma non si sottomette, come del resto tutto il gruppo di "Novecento".
Alcuni come Carrà e Sironi si avvicinarono alla Metafisica, altri come il veneziano Dudreville ritornano all'iperrealismo.
Piero Marussig affronta l'arte fascista muovendosi tra le due correnti, la sua arte è iperrealista ma al tempo stesso con echi metafisici non indifferenti come nel caso del suo "Autunno" del 1924.
Questa opera è forse la sua più rappresentativa del periodo degli anni '20, gli echi della pittura di Sironi sono evidenti.
I personaggi però richiamano una nuova visione, anzi quasi una nuova primavera della pittura italiana del Quattrocento nella quale Marussig trova spunto per rivelarsi metafisico, come si può notare dai personaggi rappresentati in questa tela.
Autunno, 1924 |
La ragazza accanto alla figura allegorica dell'autunno come non può non ricordare il personaggio di un dipinto di Piero della Francesca?
Però Marussig non è mai stato un vero pittore di allegorie, quindi il suo apporto all'arte fascista non è stato molto importante, come per altri pittori, ma soprattutto scultori suoi contemporanei.
Piero Marussig è invece il pittore della borghesia italiana. Il pittore triestino preferisce scene intime, guarda i suoi personaggi con commozione e partecipazione, al contrario degli espressionisti tedeschi che presentano una società in sfacelo com'era quella della Germania di Weimar come si vede nei quadri e i disegni impietosi di Georg Grosz.
La borghesia di Marussig è parte di una società provinciale, ricordano molto i personaggi di certe opere letterarie del periodo.
Sembrano i borghesi del teatro pirandelliano, forse di più quelli de "La noia" di Moravia.
Il gusto per le scene d'interno, i ritratti di bambini e di modelle sono una firma del Marussig che aderisce comunque alla nuova sensibilità del regime, ma non dipinse mai niente di epico o propagandistico, forse i suoi ritratti di donna, degli anni '20 come questo che vediamo, non sono immuni da una certa influenza di quelli che contemporaneamente dipingeva Tamara de Lempicka, anche se in questo ritratto si ritrovano gli incarnati del ritratto della moglie di un decennio precedente.
Durante i suoi ultimi anni, Marussig perde il gusto per le scenette "open air" come quelle di prima del fascismo, quelle del Marussig aperto a qualunque esperienza internazionale. Il Marussig postimpressionista, quello proto espressionista della ragazza con l'ombrello della fine degli anni '10 era scomparso dietro la cortina di un regime oscurantista e autarchico.
Un clima che non dà molto spazio ad artisti come Piero Marussig il quale interrompe la sua interessante parabola sperimentalista
Piero Marussig morirà in pieno regime fascista nel 1937.
In seguito sarà per lo più ignorato dalla grande critica che preferì incensare altri artisti come Carrà, De Chirico, Marini e Sironi.
Ma molti di questi sono debitori dello svecchiamento e apertura ad un clima internazionale dell'arte italiana iniziata proprio con Piero Marussig.
Però Marussig non è mai stato un vero pittore di allegorie, quindi il suo apporto all'arte fascista non è stato molto importante, come per altri pittori, ma soprattutto scultori suoi contemporanei.
Piero Marussig è invece il pittore della borghesia italiana. Il pittore triestino preferisce scene intime, guarda i suoi personaggi con commozione e partecipazione, al contrario degli espressionisti tedeschi che presentano una società in sfacelo com'era quella della Germania di Weimar come si vede nei quadri e i disegni impietosi di Georg Grosz.
La borghesia di Marussig è parte di una società provinciale, ricordano molto i personaggi di certe opere letterarie del periodo.
Sembrano i borghesi del teatro pirandelliano, forse di più quelli de "La noia" di Moravia.
Il gusto per le scene d'interno, i ritratti di bambini e di modelle sono una firma del Marussig che aderisce comunque alla nuova sensibilità del regime, ma non dipinse mai niente di epico o propagandistico, forse i suoi ritratti di donna, degli anni '20 come questo che vediamo, non sono immuni da una certa influenza di quelli che contemporaneamente dipingeva Tamara de Lempicka, anche se in questo ritratto si ritrovano gli incarnati del ritratto della moglie di un decennio precedente.
Marussig, Ritratto di donna, 1927 |
Durante i suoi ultimi anni, Marussig perde il gusto per le scenette "open air" come quelle di prima del fascismo, quelle del Marussig aperto a qualunque esperienza internazionale. Il Marussig postimpressionista, quello proto espressionista della ragazza con l'ombrello della fine degli anni '10 era scomparso dietro la cortina di un regime oscurantista e autarchico.
Un clima che non dà molto spazio ad artisti come Piero Marussig il quale interrompe la sua interessante parabola sperimentalista
Piero Marussig morirà in pieno regime fascista nel 1937.
In seguito sarà per lo più ignorato dalla grande critica che preferì incensare altri artisti come Carrà, De Chirico, Marini e Sironi.
Ma molti di questi sono debitori dello svecchiamento e apertura ad un clima internazionale dell'arte italiana iniziata proprio con Piero Marussig.
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